MAESTRA FINISCE IN CELLA A PIZZO: quadro nefasto per la scuola italiana.

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Dopo Mileto arriva Pizzo Calabro. Ancora ceffoni che s’abbattono sul volto dei bambini, ancora una maestra che avverte lo stridìo della porta di una cella che si richiude alle sue spalle. La scuola vibonese – ma certi episodi accadono da Capo Passero a Vetta d’Italia – finisce nuovamente nella bufera. Certo, le indagini devono fare il loro corso, la maestra napitina racconterà la sua verità, i colleghi la difenderanno, i genitori porteranno la loro testimonianza magari dopo aver nascosto a lungo qualche sospetto. Poco importa. Il dato reale che deve far riflettere è un altro: la Scuola, questa Scuola non va bene. Non piace. Non ispira. Trasuda demotivazione, precarietà, improvvisazione, impreparazione. Dalla primaria alla secondaria di primo grado, agli istituti superiori si respira aria di stantìo. Mancano stimoli, orgoglio e consapevolezza del ruolo, serenità, voglia di formare e disponibilità ad essere formati. Certo qualcosa si salva. Ci sono ancora dirigenti che trovano le energie per gestire e programmare, docenti che hanno voglia di insegnare, alunni che non odiano i libri, personale Ata ligio al dovere. Magari saranno pure la stragrande maggioranza, ma poi bastano episodi squallidi come quelli di Mileto e Pizzo per farci gridare allo scandalo, farci diventare giudici severi, punte di diamante dell’inquisizione. Non va bene. L’è tutto da rifare. Inutile nascondersi dietro un dito. Gli episodi aberranti non sono solo quelli di Pizzo e Mileto, non riguardano solo la scuola primaria. Più si sale e più i problemi sono seri. Più si sale e più si respira aria pesante. S’avvertono brividi. Ci si accorge, a voler essere intellettualmente onesti, che all’interno degli istituti gli episodi di insofferenza si susseguono. In una parte più – direbbe Dante – e meno altrove. Ma ovunque e comunque. E le “vittime” non sono solo i bambini. Pagano dazio anche i dirigenti alle prese con tagli drastici al bilancio, aule e locali fatiscenti, genitori incontentabili, personale disamorato e portatore di diritti più che di doveri, studenti distratti e a volte violenti, istituzioni sempre più lontane dalle esigenze loro prospettate. E non sono immuni da sofferenze i docenti. Senza lo stimolo di dover fare carriera, consapevoli che facendo tanto o facendo nulla lo stipendio è sempre lo stesso, quotidianamente alle prese con classi anche di quaranta alunni. Ragazzi difficili, svogliati, in tasca due o tre cellulari e in mano manco una penna, un quaderno, un libro. Docenti spesso nel mirino di alunni, genitori, colleghi. Docenti che in tempo di scrutini e di esami si vedono privati della soddisfazione di poter fare una valutazione del proprio lavoro, degli alunni e dei candidati. Bocciare, infatti, significa tante cose e tutte negative: perdere la cattedra, disobbedire a pressione interne ed esterne, non accontentare colleghi, amici e amici degli amici. Un muro di squallore di fronte al quale in tanti, per quieto vivere, si piegano ingoiando bocconi amari con tanti saluti a princìpi, orgoglio e professionalità. Quadro nefasto? Parole in libertà? Certamente. Ma nella scuola vibonese non ci sono solo Pizzo e Mileto: ci sono le risse davanti agli istituti, i pestaggi alle fermate dei pullman, le scazzottate nei corridoi e nei bagni, le minacce ai docenti, le sassaiole contro le vetrate degli istituti, le promozioni facili, gli autobus sfasciati e le corse di linea sospese. Parole in libertà anche queste oppure fatti e misfatti per lo più impuniti, per lo più nascosti sempre a tutela del buon nome dell’istituto e mai nell’interesse di chi ancora crede nel ruolo della Scuola? Scuola che da tempio del sapere rischia di trasformarsi in tana. Impedirlo è compito di tutti.

Pino BrosioAuthor

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