Francesco Lapa si iscrive al corso per arbitri di calcio nel 2010. Ha appena 15 anni ed è il più giovane. Tutto va per il meglio. L’esame finale viene superato brillantemente e, poche domeniche dopo, fischietto tra le labbra, esordisce dirigendo una partita delle giovanili. Il suo sogno è quello di calcare i campi del calcio che conta. <Ricordo con tanta nostalgia – racconta l’ormai ex fischietto nicoterese – l’emozione provata nell’entrare in campo seguito dai tanti calciatori miei coetanei. Il fischio d’inizio fu timido e poco udibile, mi mancava il fiato, le gambe mi tremavano>. Poi si sbloccava e tutto filava liscio. Rammenta le congratulazioni del suo tutor Giuseppe Mandaradoni, i suoi consigli e la premura con cui suo padre, Beniamino, lo seguiva su tutti i campi. Le designazioni arrivano una dietro l’altra. In rapida successione, dalle giovanili arriva a dirigere in prima categoria. Un futuro roseo. Ma quando un ragazzo che coltiva un sogno incontra adulti che di sogni non ne hanno, sbattere con l’amara realtà diventa un rischio costante. Tutto, infatti, si complica. Francesco, nonostante le lodi dei suoi superiori, cozza continuamente contro un muro di gomma. Il suo sogno comincia a sbriciolarsi. <Collezionai nel tempo tanti 8.50 – sottolinea – senza mai scendere sotto 8.40. Ad un certo punto, però, qualcosa non quadrava. Nelle riunioni della sezione di Vibo Valentia, ai miei colleghi veniva regolarmente comunicata la media dei voti, io, invece, non ho mai avuto il “piacere” di conoscere la mia>.
E mentre un osservatore, a fine partita si congratulava, assicurandogli un 8,50 come voto, in realtà scopriva di aver avuto un 8,30. Francesco diventa sospettoso, i conti non gli tornano. Anzi, a Catanzaro, al termine di una partita che riteneva di aver arbitrato bene, si vede appioppare un giudizio negativo dall’organo tecnico. Cerca di farsene una ragione, ma quando il passaggio in “Promozione” diventa, senza motivo, una chimera, prova a riflettere sulla sua esperienza. Personalità e orgoglio prevalgono sui “giochi” del sistema. E la decisione è presto presa. Il giovanissimo arbitro nicoterese, nipote di Ciccio Lapa, una delle vecchie glorie del calcio locale scomparso prematuramente, ripone il fischietto nel cassetto, sbatte la porta dell’Aia e se ne va.
<Non potevo tenermi dentro tutto questo – rimarca Francesco Lapa – perché ho visto il mio sacrificio vanificato dalla superficialità di pochi. Sono stato picchiato, minacciato, senza una parola di conforto dai miei superiori>. Un’assenza che, a lungo andare si fa notare. Poi un appella ai suoi ex dirigenti: provvedano a stabilire regole uguali per tutti e a non infrangere con comportamenti semplicistici i sogni ed i sacrifici di tutti noi. Francesco Lapa, s’adagia sui tanti ricordi che appartengono alla pagina più esaltante dei suoi vent’anni. Ma i momenti brutti adombrano quelli belli. Punta, allora, il dito contro il suo tutor Giuseppe Mandaradoni <che evidentemente aveva abbandonato l’idea di farmi emergere> e non risparmia Longo, attuale responsabile del Cra Calabria <probabilmente distratto per preparare la sua scalata alla carica di presidente>. Francesco non gli “perdona” la sua frettolosa valutazione dopo averlo visto arbitrare 90 minuti in sei anni e la condanna perché <avevo troppa pancia>. <Sono alto 1,77 – spiega – e peso 65 kg. Signor presidente poteva inventarsene un’altra>.