Che si condividano o meno le sue gesta, quel monumento a Garibaldi in pieno degrado fa rabbia. Un sorta di pilastro rotondo fermamente piantato al centro di una base quadrata rivestita con lastre di marmo, una targa dedicata all’eroe dei due mondi e al suo passaggio sulla collina del Parco delle rimembranze di Vibo Valentia. Per inchiodare nella memoria della gente il suo ricordo, nel primo dopoguerra, non s’era riusciti a fare di meglio. E nessuno, probabilmente, ha mai chiesto di più negli anni successivi quando la storia dell’impavido e barbuto condottiero ha cominciato ad essere riletta. Quel monumento incombente sul mare aveva, almeno inizialmente, un significato, un valore, un messaggio da consegnare alla gente. Poi, galeotti il tempo e l’incedere del “menefreghismo” storico, su quella stele che punta al cielo, forse ancora per poco, e sulla sua base quadrata hanno adagiato lo sguardo i “graffitisti” di casa nostra, writer sempre più pronti a immortalare coi loro murales l’esplosione d’arte presunta al lume della luna.
E ci hanno messo qualcosa di proprio anche le nuove leve del vandalismo cittadino. Il monumento a Garibaldi è così diventato oggetto di improbabili e multicolori messaggi artistici che ne hanno imbrattato ogni centimetro, mentre qualcuno s’è divertito a divellere qualche lastra del rivestimento in marmo e qualcun altro ancora, con bomboletta spray, ha vergato in nero un sinistro “Ti amo per sempre”. Il tutto, naturalmente, nell’indifferenza generale. Resiste, stranamente, la targa al generale che guidò la spedizione più famosa del Risorgimento e che nessun Comune del Sud dimenticò di dedicargli. Profetica la scritta: <Da questo verone su l’infinito/ il 27 agosto 1860/ Garibaldi vide/ nelle fuggenti schiere borboniche/ il fato della tirannide/ e i fati d’Italia grandi sul mare/ Luglio 1926>. In Italia il ventennio fascista era già cominciato.