Un dossier di ventitrè pagine per denunciare lo stato di degrado del carcere circondariale di località “Castelluccio” e chiedere un’indagine mirata a verificare l’esistenza delle condizioni minime di vivibilità. A redigerlo sono i detenuti dell’alta sicurezza che invocano la visita di una commissione ministeriale e, nello stesso tempo, sollecitano le dimissioni o sospensione dal servizio per il direttore <invisibile> dell’istituto penitenziario, il commissario e il dirigente sanitario. Per dar forza alle loro denunce dallo scorso 24 ottobre hanno intrapreso uno sciopero ad oltranza che porteranno avanti sino a quando non ci sarà un riscontro alle loro lamentele da parte del ministero. Intanto, sgranano il loro rosario di disagi ritenuti incompatibili col percorso di rieducazione che, espiata la pena, dovrebbe consentire loro il reinserimento nella vita sociale in condizioni migliori rispetto a quelle d’ingresso in cella. A loro avviso, nel penitenziario di località “Castelluccio” tutto pare avvenire contro gli interessi del detenuto costretto a vivere in gabbia in assoluto dispregio delle norme vigenti e lontani anni luce dalle condizioni garantite in altre carceri europee. Una maglia nera nella classifica dei penitenziari italiani conquistata in virtù della mancata applicazione delle più elementari norme della convivenza carceraria.
Il disappunto dei detenuti non risparmia niente e nessuno. Sono costretti a vivere 21 ore su 24 chiusi in celle simili a gabbiette che ospitano minimo sei persone senza il rispetto di alcun criterio. Un detenuto non può neppure godere della telefonata d’ingresso per comunicare alla famiglia dove si trova. I colloqui telefonici sono possibili solo due volte a settimana e non è facile comunicare con gli avvocati. Il “j’accuse” dei detenuti riguarda anche la consegna dei pacchi in entrata, che avviene dopo settimane dall’arrivo in istituto, e dei pacchi in uscita che arrivano a destinazione in tempi più che mai lunghi. Né è possibile ricevere prodotti alimentari o ritirare libri, materiale di cancelleria, lettori cd o altro perchè <qui siamo a Vibo> si sentirebbero continuamente dire gli interessati. Nelle altre carceri italiane, insistono i detenuti, si possono, invece, avere in uso anche i computer portatili. A Vibo no! Le richieste d’acquisto cadono nel vuoto e se vengono inoltrate passano tempi biblici prima di avere risposte. Difficile acquistare anche i farmaci per non parlare, poi, dei vaglia che vengono consegnati in media dopo 30 giorni dall’inoltro da parte dei familiari. Nelle celle, tra l’altro, le padelle e le pentole per cucinare sono tutte a diametro ridotto per cui bisogna fare doppio lavoro per far mangiare la stessa pietanza a sei detenuti.
Carenze anche nell’area sanitaria. Il medico è presente h12 anziché h24, ma a visitare il più delle volte è un infermiere che non può far altro che somministrare un medicinale generico e per lo più inefficace ossia “la pillola di padre Pio”. Per le visite specialistiche ed esterne occorre aspettare da sei mesi ad un anno. Da evitare, poi, la frequentazione dell’ambulatorio dentistico all’interno del quale mancherebbe il rispetto di ogni norma igienica con attrezzi poggiati dappertutto e utilizzati senza essere sterilizzati. Denunce pesanti che si soffermano anche sulle visite con presenze plurime e senza alcuna privacy. Per l’area educativa ci sono solo due operatori, mancano gli spazi per pregare, la domenica non viene celebrata la messa, i colloqui con avvocati e familiari sono difficoltosi. Ci sono problemi anche per il vestiario, le scarpe, gli spazi per pregare, la fatiscenza dei bagni destinati ai familiari in attesa di colloquio. Eppoi, l’ora d’aria ridotta a pochi minuti, l’uso del campo sportivo, la mancanza della lavanderia, l’angustia delle celle, la potabilità dell’acqua e tante cose ancora. Insomma, stando al dossier dei carcerati, ci sarebbero le basi per <l’esplosione> di una protesta che non giova a nessuno.