Pino Neri “incontra” arte ed estro di Reginaldo

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Pino Neri parla di Reginaldo e ci regala un altro sprazzo della cultura calabrese. Con la semplicità che appartiene solo ai grandi, incastona l’artista spilingese nel suo mondo fatto di personaggi avvezzi ai sacrifici e al sudore, di paesaggi mozzafiato tipici di Capo Vaticano, di immagini di straordinaria bellezza.

reginaldo d'agostino
reginaldo d’agostino

Scriveva Papini : “Oltre che ai libri debbo l’anima mia agli alberi e ai monti. Tutto quello che c’è di poetico e di malinconico, di grigio e di solitario in me l’ho avuto dalla campagna.”

Oltre che nella temperie degli spiriti colti e letterati del Novecento, l’anima di Reginaldo, adesso unico grande artista calabrese (non contemplando la numerosa schiera dei pittorelli che cercano glorie paesane), è nella sua risorsa di un mondo precedente. L’incontro con gli artisti del Novecento, da Berto a Quasimodo, la sua amicizia spontanea con gli intellettuali, sognatori nella sua arte ormai calata nel respiro del realismo sociale, costituiscono un principio di “ arte colta”, perché è lui, l’artista calabrese, ma anche europeo, che si distingue per la maturità e per la grandezza dei contenuti pittorici. Ha alla spalle moltissima bibliografia, molti hanno scritto delle sue tele, dei suoi colori, delle immagini, del lungo racconto sulla Calabria dei poveri, degli sradicati, gli zero del mondo,che nella sua tela, invece conquistano un primario protagonismo, perchè il vero ideologico si sposa al vero sociologico. La sociologia della sua pittura contempla il mondo del lavoro, temi ancorati al mondo contadino, rurale e popolare, temi sociali che appaiono tra il brillare di colori forti, generosi che richiamano anche il brillante mondo della Bagheria di Guttuso.

giuseppe berto
giuseppe berto

Forse l’anima di Reginaldo è nella campagna del Ricadese, in quell’angolo stupendo di Capo Vaticano, dove tra gli ulivi sboccia un mare profondo e azzurrissimo, quella stessa costa che innamorò Giuseppe Berto e lo spinse a scrivere sulla Calabria, come unico universo colorato del mondo. Nelle tele di Reginaldo respiri i profumi e gli odori di una Calabria e di una terra che forse non trovi più, devi fare il ricorso alle pagine dell’ infanzia, agli alberi, alle siepi, ai prati, alle spiagge, senza sfoggio, sotto il sole tutto calabrese, dove donne, col vento sul viso, ancora raccolgono olive e, nella durezza delle loro vite, lavorano la terra, piantano e curano le cipolle rompendo le loro giovinezze tra il colore elegiaco della fatica. Aldo, sulla tela, ha portato i colori forti della sua terra, la malinconia, la fortezza, il libro delle loro vite che rotola e si dipana in fortissime colorazioni . Osserviamo il mare nei dipinti: è vasto, azzurro, profondo, ma fortemente influenzato dall’inconfutabile lavoro di pescatori che, nella suprema conclusione della loro fatica, arrivano alla mattanza del pesce. Osserviamo i contadini: immagine di soma, fatica, speranza nella nobiltà del lavoro dei campi, intenti a raccogliere le gialle spighe di grano.

Osserviamo le donne: immagini bellissime di madri con i bimbi, spesso sofferenti perché la vita è dura, è lavoro, intente nel disegno domestico, nella raccolta delle olive, chine, ma composte nella dignità della bellissima maternità. Reginaldo, nel disegnarle, ha presente la letteratura calabrese,d ove nei testi di Saverio Strati, di Alvaro, Repaci, La Cava, Seminara, è possibile ritrovare figure di donne calabresi forti, destinate alla fatica, spesso distrutte dalla malapianta della miseria, ma bellissime nella dignità di un mondo contadino che riecheggia i ritmi della sanità e della santità. Figure femminili che al rosa sostituiscono il nero del dolore, la compostezza di lacrime che si sciolgono nel tormento di vite difficili. Ha effigiato la realtà contadina del meridione, il nostro grande Reginaldo, consegnando alla letteratura la sua arte. Cosi’ i vecchi, seduti sulla soglia delle case, cosparsi di rughe, col nero abito del lutto nella primavera sgargiante dei poggi verdi, gemmati ,nella fioritura del Ricadese, sotto i cieli di cristallo. Figure che ti incantano perché Reginaldo, come del resto gli interpreti della scuola pittorica del Realismo sociale, da Guttuso a Mafai, dipinge i diseredati, gli indoloriti, gli zero del mondo, costretti al lavoro tra le belle pagine di una terra avara, ricca di caratteri patriarcali, antichi. C’è la connotazione neorealistica nella sua tela che lo fa stare nell’avanguardia del gruppo pittorico, perché lui, coltissimo, arriva alla pittura dietro un vasto orizzonte culturale, dopo ricerche artistiche ed estetiche, nella concezione di un realismo dalle profonde ascendenze di scuole e di dottrine.

Pino BrosioAuthor